Franco Gagliardi Lagala e la collezione donata a Tricarico
Esisteva un tempo in cui era quasi una consuetudine avere un amico di penna: i professori procuravano indirizzi di ragazzi lontani con cui poter comunicare per conoscere nuove culture ed esercitarsi nella scrittura, anche in altre lingue.
Erano i tempi lenti del secolo scorso, della scelta della carta da lettera, della stesura prima in brutta copia e poi in bella, dello sforzo per rendere la grafia se non bella, almeno leggibile. Finita la scrittura si doveva uscire per acquistare il francobollo, affrancare la busta, e cercare una buca per le lettere.
Poi si aspettava.
Che la lettera arrivasse a destinazione, che l’amico la leggesse e rispondesse e che la sua risposta arrivasse a casa per le mani del postino.
Poi un giorno un ragazzino in America inventa i social e tutti noi abbiamo lavorato alacremente, giorno e notte, senza risparmiarci, perché lui diventasse milionario.
E ci siamo riusciti, che soddisfazione!
Basta con le lunghe attese, quello che conta è il tempo reale, purché immerso in un mondo definitivamente virtuale.
Facebook ha rotto matrimoni e le migliori amicizie, ma noi imperterriti abbiamo continuato a considerarlo il nostro mondo reale, perché ideale.
Così siamo passati dal leggere lettere scritte con cura da amici mai visti in faccia che mettevano su carta diligentemente i loro pensieri, a leggere post e messaggi di persone dai volti improbabili che una penna e un foglio non li avevano mai usati in vita loro, ma potevano permettersi uno smartphone di ultima generazione.
Uomini a caccia, incapaci di corteggiare, hanno avuto il permesso dal ragazzino americano di scrivere a qualunque donna trovata per caso frasi profondissime del tipo Ciao bella. Tesoro, sei bellissima. E altre amenità che è meglio non riferire in fascia protetta.
Finché un giorno mi giunge un messaggio che ho dovuto leggere tre volte per capire se fosse vero: Gentilissima Professoressa, buona sera…Con deferenza e cordialità, Franco Gagliardi la Gala.
In un lungo scritto gentile, corretto, luminoso, il mio interlocutore mi raccontava chi fosse e del suo amore per Tricarico e della gioia con cui osservava le mie foto della Mantenera, il suo (e mio) luogo del cuore.
Da quel momento è nata un’amicizia sincera, fatta di racconti passati e presenti, di storie familiari, di anime che popolavano il nostro bosco e di cui, spero, un giorno riusciremo a scrivere per riportarle in vita.
Quello che maggiormente colpisce di quest’uomo settuagenario è la dolcezza infantile con cui parla del suo paese natio, lo struggimento che vive per essersi allontanato dalla sua terra.
Io nel suo bosco ci vivo e lo guardo in ogni momento dalla mia finestra e posso comprendere come nessun altro i suoi sentimenti.
Un giorno mi racconta di un progetto che sta cercando di realizzare: donare al comune di Tricarico l’intera sua collezione di incisioni fiamminghe che rappresentano vedute di città (tra cui quella celeberrima di Tricarico stessa), frutto di un lavoro di ricerca appassionata durato 50 anni.
Devo dire che quando mi racconta l’aneddoto del padre, primario medico, che lo avvicina inconsapevolmente a questa passione, nella mia mente quello che risuona maggiormente è la parola primario: faccio velocemente due conti e capisco che il padre deve avere l’età dei miei nonni, che nello stesso periodo con la loro scolarità più o meno nulla arrancavano per portare avanti le loro famiglie numerose: l’Italia ha fatto passi da gigante e io ne vado fiera!
Non capisco perché voglia donare questa collezione che vale un sacco di soldi, in fondo potrebbe lasciarla in eredità ai figli, ma lui si ostina a voler spiegare cose che io non posso capire.
Solo all’inaugurazione della mostra mi è stato chiaro.
Dopo mesi di interlocuzioni a distanza, lo conosco di persona e capisco: Franco ama questa collezione tanto quanto ama il suo paese natale, Tricarico.
L’amore per queste incisioni non è collezionismo da strapazzo, lui ha studiato le vite di incisori e committenti, compenetrandole, immedesimandosi in uomini vissuti cinquecento anni fa, empatizzando con loro prima di studiare le loro opere, cosa che senza dubbio ha fatto, a partire dallo studio tecnico di come nasce un’acquaforte.
L’avvocato Franco Gagliardi Lagala non è un magnate che compra un Caravaggio da ostentare in salotto, lui vuole che questo grande “atlante del mondo” sia fruibile perché questo avrebbero voluto i suoi autori: far conoscere le città del mondo viste dai loro occhi e impresse in un fotogramma. E che sia fruibile a Tricarico, che da oggi ha un imponente patrimonio da mostrare ai cittadini, ai turisti, e agli studiosi.
Così Franco ha potuto, finalmente, mettere insieme i suoi due grandi amori.
Questo è un blog di viaggi, trovo opportuno parlare qui della donazione e della mostra permanente, perché queste immagini perfette svelano con dovizia di particolari le città che rappresentano, 300 anni prima che fosse inventata la fotografia, e sono esse stesse un viaggio. Inoltre possono fornire lo spunto per tornare oggi a visitare i luoghi che rappresentano e fotografarli, cercando di mantenere, ove possibile, la prospettiva originaria per studiare come si siano trasformati in 500 anni.
Da cittadina di Tricarico sento di dover esprimere immensa gratitudine a Franco e Marina Gagliardi La Gala e alla Signora Maria Bruna Cavaggion, per aver donato al museo di Tricarico questa splendida collezione di grande valore di acqueforti fiamminghe del XVI secolo.