Sono fuori casa da 3 settimane, in Zambia da 18 giorni e non ho scritto nulla sul blog.
Credo che io abbia bisogno di metabolizzare quello che ho vissuto e sto vivendo, credo che l’Africa sia troppo grande per poterne scrivere a cuor leggero.
Paragonerei l’Africa all’India o, per lo meno, a quello che l’India è stata per me: l’immensità.
Se devo essere sincera però, pur desiderando l’Africa da sempre, non è scoccata la stessa scintilla che mi ha fatto dire, uscita dall’aeroporto di New Delhi: eccomi a casa.
I problemi alla partenza, il bombardamento del Qatar, dove avevo lo stop flight, con tutte le ansie che si è portato appresso, il viaggio che stava saltando nonostante tutta la preparazione, il rinvio sapendo di non trovare Diego per il ritardo, e tutti i problemi correlati, mi hanno fatto già partire carica di tensione.
Mi sento qui da 20 giorni su una altalena continua, ma di quelle belle grandi, che quando ci andavi da bambino ne avevi paura. Passo da momenti di gioia, di estasi, a momenti di terribile sconforto.
Ora sono a Luangwa Feira, per esempio, un posto magico davvero. Da questa terrazza se guardo a sinistra vedo il fiume Luangwa, e di fronte il Mozambico, se guardo a destra vedo lo Zambesi e di fronte lo Zimbabwe, io mi trovo in Zambia, sono nel bel mezzo di 3 Stati. Ma aldilà della divisione arbitraria fatta dagli uomini, questo è un posto incantato davvero, è la pace assoluta, necessaria, dopo Bauleni.
Credo che qui vivano 2 o 3000 persone sparse su un grande territorio, lì in una manciata di chilometri vivono 100.000 persone, trovi gente ovunque decine di bambini giovani vecchi donne bambine con figli sulle spalle bambini con i fratellini sulle spalle, e poi macchine, carretti, pullmini, bidoni con l’acqua rotolanti per strada ovunque caos che dici ok grazie anche meno ora cerco aria.

Però sto qui in questa pace e penso ai bambini a scuola, alle maestre con cui sto lavorando, loro mi scrivono, loro mi mancano.
