Come un ippopotamo sullo Zambesi

Non so quanti siano gli ippopotami che popolano lo Zambesi, ma io ne ho visti davvero un numero spropositato.

Enormi, grassi, sbuffanti, simpatici, paciocconi e litigiosi, sott’acqua e sulla riva.

Credo che l’ippopotamo sia un monarca indiscusso: silenzioso e potente, qui conta più dei coccodrilli.

Giorno e notte ti fa sentire il suo verso dovunque tu stia dormendo, a ricordarti chi comanda.

Governa lui, gestisce lui ogni cosa.

Ne ho avuto contezza navigando su una piccola barca, mentre mi godevo in silenzio il maestoso spettacolo naturale, fantasticando già sulla prossima avventura: improvvisamente un colpo fragoroso ci fa sobbalzare, ci sposta le sedie, rovescia le borse, partono schizzi d’acqua, apparecchiature elettroniche ben salde al petto! Non capisco ancora cosa sia successo che parte il secondo colpo. Si tratta di un tonfo sordo e violento che proviene da sotto lo scafo, capisco che è un ippopotamo quando il conducente mette in moto per allontanarci velocemente. Controlliamo la barca su una spiaggetta per capire se ci siano falle (ecco perché sono di ferro!) e riprendiamo la nostra navigazione nella calma serafica del fiume al tramonto tra ippopotami che ci spiano, elefanti che si abbeverano, impala che pascolano lontani dai coccodrilli che sonnecchiano al tramonto e uccellini variopinti che si riposano tra un volo e un altro.

Questa esperienza mi ha precipitato brutalmente nella realtà: la natura non sta lì ferma per essere fotografata, la natura è viva e violenta. Mi sono chiesta per tutta la sera cosa sarebbe successo se l’ippopotamo avesse rovesciato la barchetta, quante probabilità di sopravvivenza potevano avere tre umani bianchi e mollicci al cospetto di ippopotami e coccodrilli, e la risposta è stata NESSUNA. Probabilmente anche per questo ho deciso di non partecipare al safari a piedi previsto per il giorno successivo, prima della partenza l’avevo immaginata come una esperienza imprescindibile, poi mi è sembrata utile solo a scaricare adrenalina ma non necessaria.

Ho continuato ad andare sul fiume numerose volte nei giorni successivi, senza paura ma nutrendo un vero e proprio rispetto reverenziale verso l’imponenza della natura circostante, e particolarmente verso questo enorme animale che la pubblicità e gli zoo ci hanno abituato a immaginare come innocuo compagno di giochi.

Dolce come un panda, buffo come un koala, lento come un bradipo e veloce come un ghepardo, silenzioso come una nuvola e rumoroso come un tuono, placido come una vacca al pascolo e più aggressivo di un lupo famelico, questo realmente è questo grasso cavallo di fiume.

Incurante del sole cocente, dopo aver passato la notte a pascolare, dorme tutto il giorno nell’acqua sbuffando ogni tanto per respirare e se qualcuno disturba il suo placido sonno sa cosa fare.

Nella prossima vita voglio essere senz’altro un ippopotamo nello Zambesi, anzi una ippopotama, così non devo nemmeno combattere per la supremazia.

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