Lusaka ci accoglie con uno strepitoso tramonto: il sole, un pallone arancione, galleggia su una città caotica e brulicante.

Mi accorgo che ci stiamo avvicinando alla capitale dallo sguardo di Diego, la nostra guida.

Lui è un uomo molto simpatico e divertente, che ci ha accompagnato in maniera seria e gioiosa in questa avventura, sempre allegro e sempre disponibile. Ma per tutto il tempo sentivo che gli mancava qualcosa ed entrando in Lusaka ho capito che gli mancava questo posto. Lui ama così tanto il luogo dove vive e le persone che lo abitano che quando si allontana non basta un resort a 5 stelle a mettere a tacere la nostalgia, la stessa che si può provare nei primi tempi di innamoramento, quando ci si allontana per qualche ora dalla persona amata. Solo che lui vive qui da 12 anni!

Diego ci mostra i luoghi simbolo della città e ce ne racconta la storia.

Lusaka nasce nel 1913, un piccolo insediamento lungo la ferrovia che collegava la Rhodesia del Nord con la costa del Mozambico.

Il 24 ottobre 1964, dopo anni di lotta, resistenza, disobbedienza civile, la Rhodesia settentrionale ottiene l’indipendenza dall’impero britannico, cambia il suo nome in Zambia, Kenneth Kaunda diventa presidente, la capitale del nuovo Stato è Lusaka.

Si respira l’importanza di questo evento in ogni luogo.

La statua di Zanco che si libera dalle catene e campeggia sopra la scritta FREEDOM a caratteri cubitali sta lì a ricordare a tutti quanto sia stato doloroso il percorso verso l’indipendenza e quanto sia fondamentale tenere a mente quelle catene spezzate perché non siano mai più rinvigorite.

statua di Zanko

La house 394, la casa dove viveva Kenneth Kaunda, lasciata come era, anche negli interni, ti riporta dentro alle riunioni segrete dei padri della patria che sognavano l’indipendenza ed escogitavano i mezzi per ottenerla.

casa di Kenneth Kaunda

One Zambia one nation il motto di Kenneth Kauda, che ha riunito sotto un’unica bandiera le miriadi di tribù e ha consentito anche ai bianchi, diretti discendenti dei colonialisti europei, di continuare a vivere in Zambia, sebbene sotto nuove regole.

Ho constatato piacevolmente questa convivenza quando il ristorante dove cenavamo fu invaso da boeri festanti e coloratissimi che erano venuti a tifare per la loro squadra nella partita Olanda Inghilterra: tutta la serata in quel ristorante è stata una festa tra tifosi olandesi e inglesi, bianchi ma tutti zambiani, noi turisti e avventori zambiani neri in una chiassosa, festante armonia.

Il luogo dove certamente non si incontrano bianchi, invece è il Soweto market, l’enorme caotico mercato cittadino, dove centinaia di persone si affollano per vendere o comprare qualunque cosa, scansando abilmente i ragazzi che trasportano carretti incuranti di chiunque sia sulla loro traiettoria.

Molto diversa l’atmosfera al mercato dell’artigianato: capanne tradizionali incastonate tra palazzine popolari dove l’unica cosa che devi scansare è l’insistenza dei venditori.

Ultimo luogo iconico è lo stadio.

Il calcio in Zambia è vissuto con intensità e gioia, mi sarebbe piaciuto assistere ad una partita per vedere le famiglie che vanno a tifare con puro, sano divertimento.

Mi accontento di visitare lo stadio, anzi gli stadi perché nello stesso luogo coesistono il vecchio e il nuovo, circondati in un abbraccio dalle tombe dei giocatori della nazionale che persero la vita nel disastro aereo del 1993.

stadio dell’indipendenza

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