Ero il bambino più felice del mondo. Ormai camminavo sulle mie gambe e mia madre non mi portava più in giro avvolto sulle sue spalle ma io ricordo quei momenti, e non vi sembri impossibile, perché esiste un ricordo che non è pensiero: ero una sola cosa con mia madre, il suo calore avvolgente, il suo odore, la forma dei suoi capelli che accarezzavo con le mie piccole mani posso sentirli ancora oggi nelle narici, nella pancia nelle gambe e nei ruvidi polpastrelli di un vecchio stanco, mi basta chiudere gli occhi. Ero invincibile sulle sue spalle, scoprivo il mondo da un posto sicuro, nulla sarebbe potuto accadere finché mia madre mi avesse portato con sé e nulla poteva accadere a lei, avrei brandito la mia canna da zucchero per bastonare chiunque si fosse azzardato ad aggredirla!
Ero cresciuto e scorrazzavo con i miei amici in giro per il villaggio, ci divertivamo a giocare ma non ero mai disubbidiente, ho sempre onorato mia madre in cui ponevo la mia fiducia incondizionata, grato per quello che faceva per me.
La vita di noi bambini era allegra e quella degli adulti scorreva serena, avevamo tutto quello che ci serviva, il nostro villaggio era sul grande fiume, abbastanza lontano per evitare di essere travolto dalle piene ma abbastanza vicino per poter coltivare quando la fiumana abbandonava il terreno dopo averlo reso fertilissimo. Avevamo molti animali perché i pascoli erano abbondanti, le nostre capanne erano comode ed accoglienti e vivevamo tutti in armonia. Eravamo ricchi, perché avevamo tutto quello che potesse servire per vivere bene e felici, ma se qualcuno anche di un villaggio aldilà del fiume era in difficoltà, tutti erano pronti a dare una mano perché nessuno restasse indietro.
Nyami Nyami ci proteggeva, ci nutriva, ci affidavamo a Lui quando andavamo sul suo fiume chiedendogli di proteggerci dai coccodrilli e dagli ippopotami, in cambio non toccavamo la roccia dove viveva, essa era inviolabile.
Non avevo mai visto un uomo bianco ed ero un bambino coraggioso: non ne avrei avuto paura se lo avessi visto!
Un giorno si presentò un muzungu al villaggio dicendo che dovevamo andare via perché tutto quello che avevamo sarebbe stato travolto dall’acqua, io pensavo questo non solo è strano ma è davvero un bianco stupido, l’acqua travolge tutto ogni anno e noi sappiamo cosa fare!
Ma la sera mi appostai vicino al grande baobab e ascoltai le parole degli anziani che si erano riuniti lì dentro: erano molto preoccupati perché l’uomo bianco gli aveva comunicato che la sua tribù avrebbe violato la roccia del dio e avrebbe trasformato il grande fiume in un mare.
Io non avevo mai visto il mare e non lo ho mai visto nella mia lunga vita, ma guardo il lago di Kariba, e il muzungu aveva ragione: avrebbero inondato ogni cosa e avrebbero trasformato il fiume in un mare non temendo nemmeno Nyami Nyami.
Non avevamo scampo: dovevamo lasciare il nostro bellissimo villaggio o saremmo morti tutti annegati.
Furono giorni concitati, tra chi imprecava contro il mostro bianco e chi pregava Nyami Nyami, tutti raccogliemmo quello che potevamo per raggiungere luoghi lontani, percorremmo più di 70 chilometri e durante il cammino scoppiarono sovente scontri con i bianchi usurpatori.
In uno di questi scontri ho perso la mia adorata madre.
Avevo 10 anni, e oggi quel dolore antico è rinnovato ogni giorno, ogni cellula del mio corpo mi porta al momento in cui vidi gettare il corpo di mia madre in una fossa insieme a decine di morti, ogni giorno degli ultimi 70 anni la lacerazione del mio cuore è rimasta aperta e sanguinante, riesco a placarla solo chiudendo gli occhi e sentendo il suo profumo e il suo calore sul mio corpicino di bambino.
Non si è calmato il mio odio nemmeno quando Nyami Nyami si è vendicato la prima volta, non si può mettere a tacere la rabbia di un bambino che ha conosciuto la felicità più completa e ha visto sgretolare il suo meraviglioso mondo tutto in una manciata di mesi, non si può mettere a tacere la rabbia di un vecchio che può solo raccontare ai suoi nipoti che un tempo esisteva l’armonia tra i villaggi, ma non è riuscito a fargliela vivere.
Sono l’uomo più vecchio del villaggio, spero di vivere ancora per potere vedere completata la vendetta di Nyami Nyami.
Nella valle dello Zambesi da tempo immemore viveva pacificamente il popolo Tonga, in una situazione idilliaca, sapevano riconoscere i segnali della natura e coltivavano due volte l’anno: quando il fiume esondava coltivavano nella zona più lontana, quando la piena si ritirava, piantavano sul terreno vicino al fiume che il limo aveva fertilizzato. Avevano abbondanza di cibo, vegetale e animale, e c’era una perfetta armonia tra i villaggi vicini, anche se separati dal grande fiume.
I superstiti hanno raccontato di quella vita nei villaggi sul fiume Zambesi come di una vera età dell’oro, e di una vita a tutti gli effetti idilliaca.
Nel 1956, la federazione Centrafricana (Rhodesia del Nord, Rhodesia del Sud e Nyasaland) stabilisce la creazione di una grande diga per produrre energia elettrica per le miniere che lì abbondavano. Prende l’appalto orgogliosamente un’impresa italiana, erano gli anni del boom economico, avevamo perso la guerra ma stavamo per creare una delle opere più imponenti del mondo!
Iniziò la costruzione della diga di Kariba.
Ma Kariba è la roccia che sporge dalla gola nello Zambesi, è la casa del dio Nyami Nyami ed era inviolabile pena la traduzione immediata sott’acqua negli inferi.
E infatti, prima che la diga fosse completata molti operai (tanti italiani) morirono travolti da inondazioni mai viste prima.
I corpi dei morti scomparvero misteriosamente e quando le famiglie li reclamarono, fu necessario chiedere aiuto i agli anziani dei villaggi, i quali spiegarono che per placare l’ira del dio bisognava sacrificare un vitello nero e gettarlo nel fiume.
Così fecero.
Il giorno dopo al posto del vitello c’erano i corpi degli operai.
Furono sfollate 57.000 persone dai loro villaggi (alcuni parlano di 80.000) e furono sistemate in terreni aridi, lontani dall’acqua dove allevare è difficile, coltivare è impossibile e cacciare è vietato perché a ridosso dei parchi nazionali la fauna è protetta.
Nel giro di pochi anni, i Tonga sono passati dall’essere autosufficienti a diventare un popolo senza risorse di sussistenza, erano tribù unite dal fiume, sono due popoli separati dal lago più grande del mondo e con nazionalità diverse.
Rimetti a noi i nostri debiti ci insegna la nostra religione basata sui sensi di colpa lavati facilmente con la confessione.
Quante Ave Maria per quello che è stato fatto a questo popolo?