Mosi-oa-Tunya

Entro in Africa piano, ma l’Africa fa rumore.

È il rumore della mia gioia che esplode quando incontro per caso elefanti che passeggiano, vedo la palla infuocata del sole colorare tutto di arancione, incontro persone gentili e calorose senza invadenza camminando su strade sterrate che a me sembrano lastricate d’oro.

Il primo rumore che ascolto, il più potente, è quello del Mosi-oa-Tunya, il fumo che tuona.

Livingstone fu il primo occidentale a vedere la maestosità di questo posto che rinominò Cascate Vittoria, e così le chiamiamo tutti ancora oggi, ignari del fatto che esistessero ben prima del momento in cui lasciarono senza fiato il nostro medico missionario, che avessero un nome e che molti le avevano viste, molte persone che appartenevano a quella terra da millenni.

Ma noi siamo fatti così, il mondo esiste dal momento in cui noi occidentali ne abbiamo contezza, le cose esistono se possiamo dar loro un nome, e probabilmente è anche giusto così: stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus.

Da lontano già si sente il rumore di questo tuono fragoroso, ma è avvicinandosi che se ne scopre tutta la potente maestosità, nonostante una ridotta stagione delle piogge.

Entriamo in Africa dallo Zimbabwe, così da potere vedere le cascate per intero (dallo Zimbabwe allo Zambia), queste si trovano infatti esattamente sul confine delle due nazioni.

Percorriamo a piedi tutto il fronte di un chilometro e mezzo tra scimmiette che tentano di rubare qualche merendina, sbuffi d’acqua e vapore, e arcobaleni, sempre sotto gocce di pioggia che in realtà sono schizzi della cascata.

L’imponenza della cascata incute timore reverenziale quando si osserva in basso il precipizio nel quale si getta il fiume Zambesi, che supera i 100 metri di dislivello.

Mi colpisce una roccia a strapiombo il cui accesso è stato vietato per la pericolosità del sito e perché era luogo di elezione per chi voleva porre fine alla propria esistenza, e io non riesco a non pensare a quanto debba essere disperata una persona che anche di fronte a tanta bellezza riesce nel suo intento suicidario.

Certamente non intendeva morire l’uomo che tranquillamente pescava sull’orlo del salto e, andandosene, ci ha lasciato tutti con la bocca aperta e con il formicolio sotto i piedi.

La stessa sensazione di paura mista ad orrore la provo osservando impavidi bungee jumpers che si lanciano dal Victoria Falls Bridge.

Dal canto mio preferisco osservare le scolaresche che attraversano il ponte e attraversarlo io stessa passando a piedi il confine tra Zimbabwe e Zambia.

Sarebbe stato bello percorrerlo in treno facendo la traversata da Città del Capo al Cairo, per come era stata pensata tutta la tratta ferroviaria mai completata. Certo Cecil Rhodes, pur non avendolo mai visto eretto, aveva ottenuto quello che aveva chiesto: un ponte dove i treni, quando passano, vengano colpiti dagli spruzzi della cascata.

vi lascio alcuni scatti di questo posto unico al mondo

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